sabato 20 agosto 2011
La salita del Cervino
Fatica e piacere, dall'opposta natura,
sono tuttavia vincolati l'uno all'altro,
in una sorta di rapporto necessario
Livio
Reduce da una bellissima vacanza in Valtournenche nella quale ho scoperto le meraviglie di una Val d'Aosta idilliaca e silenziosa, non potevo che concentrarmi sul principe della valle, il Cervino. La montagna. Imponente, archetipo di monte che si concede solo a volte alla vista del viaggiatore, coperto spesso da nubi che ne celano la vetta rappresenta una sfida che mi auguro di poter affrontare in futuro, una sfida che appassiona da secoli chi nella montagna trova linfa vitale, domande e risposte. In particolare un libro pubblicato per la prima volta alla fine del 1800 in Inghilterra e riproposto dai tipi della CDA&Vivalda nella favolosa collana I Licheni ben riassume il sentire di cui sopra. Si tratta de La Salita del Cervino di E. Whymper. Un libro che racconta gli esordi dell'alpinismo, che ci fa conoscere i pionieri di un mondo antico, un mondo che si è evoluto, ma non perduto, un mondo che ancora si può percorrere, camminare, scalare, leggere e pensare, un mondo di cui fanno parte queste parole estratte dal testo:
Noi che andiamo in montagna abbiamo anteposto a ogni altra cosa la superiorità dei fermi propositi, o della perseveranza, rispetto alla forza bruta. Sappiamo che ogni vetta, ogni passo, devono essere guadagnati con sforzi pazienti e laboriosi, e che il desiderare non può prendere il posto del faticare; conosciamo i benefici dell'aiuto reciproco; sappiamo che si devono incontrare molte difficoltà, e molti intralci devono essere aggirati o superati, ma sappiamo anche che la volontà trova sempre una via; e torneremo alle nostre occupazioni quotidiane più preparati alla battagia della vita, e a scavalcare gli ostacoli che ostruiscono i nostri percorsi, rafforzati e allietati dalla memoria di pene passate, dai ricordi delle vittorie ottenute in tutt'altri campi.
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